Lo scorso aprile, uno studente di ginecologia in Belgio è stato dichiarato colpevole di aver violentato una coetanea, approfittando del suo stato di incoscienza. Tuttavia, il tribunale ha deciso di sospendere la condanna, per non compromettere la carriera di quello che viene definito “un giovane ragazzo di talento”.

Nemmeno un mese dopo, è venuta alla luce la storia di una chat di alcuni studenti di medicina in Croazia, nella quale avrebbero valutato chi delle loro compagne potesse essere “stuprabile”. Non ci sono state denunce e l’università non ha preso provvedimenti.

Di fronte a episodi come questi, tutt’altro che insoliti, è importante interrogarsi sul ruolo delle istituzioni nella normalizzazione di un fenomeno come lo stupro, che al giorno d’oggi resta ancora troppo spesso impunito nonostante la presenza di prove inconfutabili. Sembra esserci un’ossessione fuorviata per le conseguenze di una condanna per violenza sessuale: la “vita rovinata” che viene presa in considerazione è spesso e volentieri quella del responsabile, non quella della vittima. In particolar modo, si è instaurata una sorta di paranoia sociale per la quale le false accuse di stupro sarebbero all’ordine del giorno.

Da questo punto di vista, i media non aiutano. È stato stimato che nei prodotti televisivi e cinematografici in cui la violenza sessuale è rappresentata, il 25% delle denunce per stupro risultano essere infondate. Nel mondo reale, le false denunce non raggiungono il 4% dei casi.

In un tale scenario, è fondamentale la produzione di film come quello preso in esame, in cui durante un dialogo cardine, all’affermazione di un personaggio che “essere accusato così è il peggior incubo di ogni uomo”, la protagonista risponde: “Sai qual è l’incubo peggiore di ogni donna?”

Una donna promettente (2020) è l’esordio alla regia di Emerald Fennell. Pur non avendo avuto lo stesso riscontro culturale dei due film già citati in questa rubrica (sicuramente anche a causa dell’uscita in sala durante la pandemia), quest’ultimo è stato acclamato dalla critica, aggiudicandosi l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale nel 2021.

La pellicola va a toccare quel tema torbido e onnipresente della nostra realtà che è la cultura dello stupro, ma nel farlo ribalta le convenzioni e i diversi clichés cinematografici ad essa legati (lo stesso titolo è un capovolgimento della frase usata per scagionare i “ragazzi promettenti” accusati di violenza sessuale). In particolar modo, vengono ripresi i tropi dei generi del rape-revenge thriller e della commedia romantica, per effettuare una critica decisa ad un genere di società – la nostra – che tollera e normalizza lo stupro.

Il mondo costruito a livello scenografico è piacevole e accogliente, dai colori pastello, dove le note pop di Paris Hilton e Charli XCX risuonano indisturbate e dal quale, sembrerebbe, non ci si può aspettare nulla di negativo; eppure, questa facciata non fa altro che nascondere la violenza e l’abuso che si consumano ogni giorno sotto i nostri occhi.

A tutti gli effetti, il film sembra prendere la piega di una commedia romantica in cui la protagonista cinica che non si fida più degli uomini scopre il vero amore nel ragazzo “diverso dagli altri”; ma questa aspettativa verrà immancabilmente smentita. Quello che è interessante è che i potenziali (o effettivi) stupratori che il film presenta non risultano ripugnanti né esclusi dalla norma sociale: sono figure apparentemente amichevoli, rassicuranti, i bravi ragazzi della porta accanto. Essendo immersi in una morale che autorizza gli uomini a pretendere e prendere, questi personaggi considerano i loro atteggiamenti consueti e legittimati, finché non vengono messi di fronte alla loro problematicità, scattando subito sulla difensiva nella maggior parte dei casi.

Nella storia non si va ad analizzare un tipo specifico di uomo, ma si attua un discorso per il quale l’intera società è sotto accusa: tutti i personaggi sono in qualche modo colpevoli, perché tutti sono un prodotto del medesimo ambiente. Da un lato, gli uomini responsabili di violenza si proteggono tra loro e restano impuniti; dall’altro, le donne colpevolizzano la vittima nella speranza di allontanare da sé il rischio di poter essere la prossima.

Il presupposto del film, arduo da accettare perché terrificante, è che dalla cultura dello stupro non si può sfuggire. Questa è sì presente nelle discoteche e nei locali da cui veniamo messe costantemente in guardia, ma anche in strada, all’università, in tribunale. Un barlume di fiducia viene proposto attraverso il personaggio dell’avvocato, che, in una scena di pentimento sincero, dimostra che il cambiamento è possibile una volta che si mette in dubbio la cultura in cui si cresce e ci si scardina da essa.

La protagonista, Cassie, è circondata da un’iconografia mitologica e biblica. Il suo nome fa riferimento al mito greco di Cassandra, voce femminile destinata a rimanere inascoltata, e la regista stessa la definisce un angelo vendicatore che offre redenzione o punizione. Questa tipologia di personaggio è caratteristica dei revenge thriller, ma la novità è che, in Una donna promettente, la sua vendetta non arriva mai con una violenta scena splatter, che costituirebbe una “catarsi hollywoodiana vuota”. Cassie mette alla prova le persone intorno a lei, tentando di far comprendere loro l’errore; non viene inscenata violenza gratuita, bensì una vendetta più calcolata, volta a ottenere un cambiamento. In sostanza, la centralità della moralità offre una prospettiva inedita sulla vendetta, interamente femminile.

Il messaggio che vuole essere trasmesso viene spiegato in modo diretto e chiaro, senza necessità di dettagli morbosi. In alcuni momenti si ha l’impressione che la protagonista si stia rivolgendo al pubblico stesso, come a voler ricordare che non si sta semplicemente assistendo ad un film, ma al riflesso della vita di tutti i giorni: arte che imita la realtà, a tutti gli effetti.

Per quanto sia scomodo e destabilizzante, è necessario trovare il coraggio di guardare in questo riflesso. Non è l’individuo a essere malato, ma la società che lo forma. E se vogliamo davvero un cambiamento che coinvolga tutti, dobbiamo partire proprio da qui: non con lezioni morali, né con toni paternalistici, ma mettendo le persone di fronte a qualcosa che conoscono, in cui possano riconoscersi. Cambiare il mondo inizia dal modo in cui scegliamo di raccontarlo.

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