Nel mondo romano, il termine Pax era indissolubilmente legato all’idea di ordine e controllo. Roma, sulle cui mire espansionistiche e imperialistiche si sono scritti innumerevoli saggi e monografie dai pareri diversi, sicuramente non risulta essere un esempio lungimirante di pace. Tuttavia, nel periodo imperiale, non si può negare il raggiungimento di una significativa convivenza pacifica tra popoli e tra culture differenti. 

La Pax Romana, lat. pax pacis, dalla stessa radice *pak-, *pag– che si ritrova in pangere «fissare, pattuire» e pactum «patto», risultava una condizione di stabilità garantita dalla supremazia romana sulle province e sui popoli conquistati e implicava la cessazione dei conflitti interni attraverso un sistema giuridico e militare centralizzato. La pax diveniva, inevitabilmente, il risultato diretto di un buon governo o, meglio, di un governo che sapeva garantire, in quel determinato momento, la fine dei conflitti sanguinosi e delle perdite umane. Non si può certo negare lo spiccato senso diplomatico del governo romano che, tramite quelle che venivano identificate come trattative di pace (foedera) con altri popoli, è riuscito ad assimilare o sottomettere. Non è questa la sede per discutere le scelte politiche della Roma di Augusto o della Roma post-repubblicana pronta all’impero, è un dato di fatto, però, che la ricerca di un momento di pace anche in quello che era il territorio più esteso e complesso del mondo ancora conosciuto, risultava un desiderio comune e necessario. Il cessare delle guerre, inoltre, aveva garantito un richiamo simbolico e artistico alla Pax augusta. La dea Pace, verosimilmente raffigurata come una divinità femminile sui bassorilievi dell’Ara Pacis, diventava, di conseguenza, il simbolo di un periodo florido e, diremmo, “tranquillo”. La dea era prosopopea di un periodo imperiale di fine delle guerre che il primo imperatore aveva fatto cessare, attribuendosi l’ultimo e significativo merito di aver chiuso le porte del tempio di Giano (un gesto che, nel rituale romano, segnava la fine delle guerre). 

Nella cultura greca, la pace (eirene, εἰρήνη) aveva un significato più sfumato e meno legato alla supremazia politica rispetto alla pax romana. Se, da un lato, il mondo greco era caratterizzato da conflitti continui tra le poleis (le città- stato), dall’altro, esisteva una forte riflessione filosofica e politica sul valore della pace. Uno degli esempi più celebri di questa riflessione si concretizza in una delle opere del celebre Aristofane,  commediografo ateniese che nella sua opera Eirene rappresenta la pace come una dea imprigionata dalla guerra, difficilmente raggiungibile dal protagonista della commedia (Trigèo), a causa degli interessi politici e militari delle città-stato. Famoso il passo comico in cui Trigèo invita ad aiutare questa povera donna: “Oh uomini, finalmente è giunto il momento di liberarci dalle catene della guerra! Ecco la Pace, la dea che abbiamo sempre desiderato. Con il nostro impegno, possiamo riportarla fra noi!” (il riferimento è alla scena in cui Trigeo e i contadini sollevano il macigno che imprigiona Eirene; cfr. Aristoph. Eir. 520-523)

In realtà, Aristofane non fa altro che riflettere una società, come quella ateniese, dilaniata dalle continue guerre e volenterosa di un periodo di “cessate il fuoco” (sembra ridondante, eppure la storia si ripete). La tanto agognata pace di Nicia (421 a.C.), per esempio, interruppe momentaneamente la guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, ma non rappresentò una vera e propria stabilizzazione dei rapporti tra le due potenze, continuando a rendere Atene più debole e i territori limitrofi sempre più propensi ad assumere il controllo (si giunse a un insieme di guerre silenziose che non ebbero mai fine fino all’annessione a Roma).

Tuttavia, nel pensiero di alcuni filosofi e storici, la pace non era solo un’assenza di conflitti effettivi e bellici ma era piuttosto una condizione essenziale per il benessere della polis. Platone e Aristotele, per esempio, sottolineano l’importanza dell’armonia sociale e della giustizia come elementi fondamentali per la costruzione di una città ideale, per raggiungere il fine ultimo della felicità collettiva. Intrinsecamente legate, pace e giustizia determinavano la buona città greca e il buon vivere tra gli uomini. 

Se ne deduce che, mentre la pax romana era un fenomeno imposto dall’alto, la eirene greca, almeno nelle riflessioni teoriche, era spesso associata all’equilibrio tra le parti, alla distribuzione equa delle risorse e una certa naturale armonia tra gli uomini, da ricercare attraverso la razionalità e la moderazione. Inoltre, anche nella cultura greca, la pace era legata simbolicamente a una divinità femminile, dalla chioma raccolta e in atteggiamento materno, solitamente accompagnata da un simil puttino (probabilmente una personificazione di Pluto, dio della ricchezza).

L’analisi sicuramente rapida di cosa probabilmente si volesse intendere con la parola pace nelle due civiltà che costituiscono la base del pensiero occidentale, ci permette di trarre alcune conclusioni: la pace non sempre è interpretabile come assenza di conflitto, spesso, almeno nel mondo romano, è sinonimo di assimilazione culturale/sottomissione o tacito accordo tra pari e non; ha un riferimento simbolico e artistico concreto, forse perchè l’uomo, in quanto naturalmente votato a credenze a ideologie, ha bisogno di un referente reale/ divino; si tratta spesso di una condizione che naturalmente gli uomini ricercano, a seguito di lunghi periodi di instabilità. Sarà arrivato un momento di pace anche per questo mondo?

Loading

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere