Ciao a tutt3! Sono Federica Vennitti, tendo ad essere una persona un po’ logorroica…mi piace molto pensare e concretizzare il tutto con lunghi discorsi o con una scrittura a volte prolissa, quindi mi scuso fin da subito per gli sproloqui che potreste trovarvi a leggere all’interno di questo bel progetto editoriale.
Scherzi a parte, spero di riuscire. articolo dopo articolo, a comunicarvi il mio immenso amore per l’arte e la cultura, infatti ho studiato queste materie precedentemente all’Accademia di Belle Arti e in seguito all’Alma Mater Studiorum di Bologna. In questo momento sono ancora una studentessa, sto continuando il mio percorso di studi in un’altra facoltà: Giurisprudenza. Essendo stata da sempre divisa tra Arte e Diritto, di recente ho colto al volo l’opportunità di poterle studiare entrambe in contemporanea…proverò a parlarvi presto di questo esperimento! Il mio focus principale però rimane (e rimarrà eternamente) la storia dell’arte. Nello specifico, da sempre le mie ricerche sono incentrate su come utilizzare il materiale artistico per generare una rottura dei tabù, ritengo infatti che sia l’unico mezzo all’altezza di questa missione.
Sono molto felice e onorata di far parte di Salamanders, ho deciso di partecipare perché questo blog è stato concepito come uno spazio libero e aperto al confronto, qualcosa di cui sentivo di aver bisogno da tempo. Spero apprezzerete le nostre idee, e mi auspico che saranno una buona compagnia per le giornate in cui sentirete la necessità di una boccata d’aria fresca.
La necessità di fare rumore
Cosa significa “fare rumore”?
Perché sta diventando sempre più un’espressione comune e “necessaria”?
Un’espressione che negli ultimi anni è diventata sempre più significativa, soprattutto in relazione alla lotta contro la violenza di genere. In questo piccolo spazio, gentilmente concessomi, ho provato ad esplorare come il rumore, inteso sia come suono che come azione, sia stato storicamente legato alla vita umana e nello specifico, come da sempre sia una “necessità femminile”. Tracciando un parallelo tra “il rumore” contemporaneo per la lotta contro la violenza di genere, e “il rumore” anti-malocchio/anti-stupro degli orecchini tradizionali delle antiche donne abruzzesi. Oggi come ieri, cambia l’oggetto ma non l’azione: il rumore occorre alle donne per difendersi, il rumore occorre alle donne per sopravvivere, il rumore occorre alle donne per generare un cambiamento.
Questo testo prova ad esplorare come “fare rumore” sia un atto simbolico e necessario che va oltre la mera protesta, ma è una forma di difesa contro l’oppressione, sia storicamente nelle tradizioni popolari che oggi nelle battaglie quotidiane.
Le muse dimenticate. Il ruolo della prostituzione nella storia dell’arte
Il testo vuole essere un primo momento di esplorazione del legame storico tra arte e prostituzione. Questa sarà solo la prima tappa di un lungo viaggio, che si focalizzerà sulle origini stesse dell’espressione umana cominciando con i reperti dell’arte preistorica.
Attraverso una breve analisi storica, verrà ricostruito il legame tra prostituzione e rappresentazione fin dalle epoche più antiche: dalla preistoria con le Veneri votive, fino ai culti religiosi delle prime civiltà incentrati sulla dea Ishtar. Il percorso mostrerà come, fin dalle origini dell’umanità, il corpo femminile sia stato al tempo stesso oggetto di venerazione e sfruttamento sessuale generando un vero e proprio archetipo iconografico.
Le muse dimenticate. Il ruolo della prostituzione nella storia dell’arte
In questa seconda tappa di esplorazione del legame storico tra arte e prostituzione, indagheremo l’antico Oriente. Se nello scorso articolo ci siamo focalizzati sui reperti dell’arte preistorica e le prime espressioni umane, ora ci addentriamo in una delle civiltà più conosciute e stereotipate dal nostro mondo contemporaneo occidentale.
Nel luogo comune attuale gli antichi egizi vengono dipinti come un popolo impreziosito da colori dorati e ritualità affascinanti, ma c’è molto altro. La vita era scandita da momenti cerimoniali intimamente legati al “donare il proprio corpo alla vita” e al “donare il proprio corpo alla morte”; i due poli si intrecciano all’interno di affreschi e ritrovamenti, che ci offrono una narrazione storica diversa dai soliti cliché. In questo contesto la prostituzione sacra si consolida, scomponendosi in culti in onore di diverse divinità, e il concetto stesso di “prostituta” comincia a frazionarsi e definirsi.
“Panza lente” o Mob Wife? L’immaginario tossico delle donne di mafia tra realtà e stereotipo
Il testo analizza la rappresentazione delle donne nelle organizzazioni mafiose, tra invisibilità storica e celebrazione pop contemporanea. Da un lato, queste donne sono pilastri silenziosi delle famiglie mafiose, custodi dei codici criminali, gestori occulti del potere e protagoniste attive, seppur non riconosciute ufficialmente, nella struttura del crimine organizzato. Dall’altro, la narrazione mediatica, amplificata dai social come TikTok, ha trasformato la figura della “moglie del boss” in un’icona glamour e seducente, dando vita alla cosiddetta Mob Wife Aesthetic.
Attraverso esempi reali e fittizi, il testo mostra come queste rappresentazioni estetizzino e svuotino il senso storico, politico e violento della mafia, romanticizzando ruoli femminili nati dentro logiche di subordinazione e controllo. L’estetica, infatti, cancella la complessità e il dolore legati a queste vite, presentandole come modelli di empowerment, quando in realtà riflettono un potere delegato, utile alla sopravvivenza del sistema mafioso stesso.