Elogio ai baristi

Userò questo primo articolo per trattare di un tema che con il tempo e l’esperienza mi ha riguardato e che ho preso a cuore: dopo anni di lavoro saltuario in un piccolo bar di paese, giungo al termine di questa esperienza lavorativa, così da proseguire gli studi. Durante la triennale il tempo speso al bar era limitato, lavorando unicamente i weekend di ritorno da Trieste, ore poi aumentate quando sono tornata in pianta stabile a casa a novembre dell’anno scorso. 

La fortuna di lavorare in un bar del paese in cui vivi risiede nella comodità di temporeggiare fino all’ultimo per poi iniziare un turno, che per me era di un tempo variabile dalle tre alle sei ore al giorno, quindi, caro lettore, comprendi che lo sforzo fosse minimo rispetto a coloro che fanno di questa occupazione un mezzo di sostentamento nella vita

Ed è proprio a queste persone che dirigo un elogio, oltre che un elenco di problematiche a cui questo impiego è soggetto. A tutti voi:  baristi a tempo pieno, studenti-lavoratori e genitori baristi part-time

Inevitabile poi che questo articolo si indirizzi anche, implicitamente, a tutti noi che testimoniamo il loro lavoro silenzioso (fisico e psicologico) mentre sorseggiamo i nostri caffè mattutini e gli aperitivi serali, inconsapevoli, noncuranti, di coloro che li portano al nostro tavolo, di quello che devono talvolta sopportare, i piccoli gesti che possono riempire loro i cuori e a cui noi diamo talvolta il minimo valore. Spero che diventino numerosi, se prima inesistenti, tali gesti da parte di coloro che leggeranno questo umile articolo di una ex-barista!

È uno dei lavori più sottovalutati, per non dire proprio screditati, basti pensare alla reazione poco entusiasta e quasi compassionevole che si riceve alla confessione di lavorare in un bar, sempre che non sia un locale di lusso o in qualche città più popolosa, lasciando le briciole di stima per i piccoli baretti degli altrettanto piccoli centri. Eppure, sono proprio questi modesti dipendenti che devono sottostare a visite quotidiane, di routine, degli stessi clienti, visioni talvolta gradite, altre non eccessivamente. Sono questi lavoratori che divengono sacerdoti al confessionale di tristi vittime dell’esistenza e, di conseguenza, consolatori portatori di alcolici antidepressivi, con la responsabilità però di moderarne premurosamente la dose quando questa diviene eccessiva. 

Sono loro, i baristi, coloro che sedano liti più o meno animate, scaturite da incomprensioni piccole e grandi, a volte inafferrabili nei ragionamenti, fungendo così da riappacificatori non appellati, ma cruciali nella risoluzione di questi conflitti.

Le bariste, quelle che si tappano le orecchie, o fingono di farlo, alle battute sessuali più spregevoli a loro rivolte, dovendo addirittura fingere una lusinga inesistente, maschera di disgusto e imbarazzo. Frasi, queste, dalla valenza volatile, in quanto alternate a commenti di sprezzo nei confronti di abbigliamenti poco provocanti o curati, perché infondo, fare il/la barista diviene poi una questione di apparenza, una vetrina in cui ci si mette a disposizione dello sguardo attento e minuzioso dei clienti, confermato anche dall’usanza sempre più diffusa negli annunci di lavoro in questo settore, di imporre un range d’età, per togliere così la fatica ai datori di rifiutare dipendenti per la loro inappetibilità anagrafica, nullificando magari anni di esperienza nel settore. 

Baristi, vittime innocenti delle frustrazioni individuali dei clienti che non perdonano le più insignificanti, talvolta inesistenti, dimenticanze, negligenze e attese, diventando loro stessi coloro che si dimenticano di un “grazie”, un “per favore”. Viene spesso dato per scontato l’obbligo degli inservienti nel servire alle comande: è il loro lavoro, vengono pagati per questo, dimenticandosi così del lato umano del lavoratore, un essere umano come coloro che stanno dalla parte del consumatore, con l’unica differenza che il secondo versa il suo denaro, il primo, incassa, soldi, parole, gesti. 

Baristi che si alzano all’alba per cuocerci le brioche, baristi che rompono bicchieri per la frenesia e la fretta che spesso noi gli imponiamo, baristi che chiudono i locali quando la festa è ormai finita, baristi che mantengono la festa e baristi che puliscono i lasciti di quella festa. 

Baristi che devono sorridere anche quando è la loro, la giornata storta. 

Baristi che attendono pazientemente il nostro temporeggiare nello scegliere l’ordine anche quando il locale è gremito.

Baristi che sorridono quando sparecchiano i clienti. 

Baristi che ricordano i tuoi ordini e ti danno le patatine che più ti piacciono…

Si prendono cura di noi, dei nostri cuori spezzati, delle giornate che sembrano essere troppo pesanti e che stemperiamo in un bicchiere in solitudine o compagnia. Condividono la nostra gioia per piccoli traguardi che magari confidiamo loro o che festeggiamo nei loro locali e ci danno una parola di conforto quando incerti su situazioni comuni o intime, diventando dei confidenti anonimi. 

Alla fine, verranno anche pagati per quello che sembra il “semplice” servire ai tavoli, ma forse cambieremmo la nostra visione se ci soffermassimo ad osservare da fuori la molteplicità di ruoli che rivestono ogni giorno, volontariamente o meno, dovendo dimenticare la loro vita privata affinché non influenzi il loro lavoro e dedicandosi invece alla nostra. 

Un sorriso, un grazie, un per favore, divengono cruciali nel rendere piacevole un ruolo che può talvolta non esserlo, praticando così, noi consumatori, dei piccoli gesti di “volontariato” quotidiani. Spetta proprio a noi clienti, restituire loro una minima parte di questa umanità soppressa, ricordandoci di avere di fronte un individuo, con sentimenti e vita propri, semplicemente travestiti con grembiule e vassoio.

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Grande benny!

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  • Racchiude in un articolo tutto ciò che in 29 anni di ristorazione sono diventata e per questo dico grazie. Grazie sopratutto perché hai dato luce a un ruolo che come hai detto è quasi sempre nell’ombra perché “cosa vuoi che sia”.

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