1943, La prima radice, Simone Weil: 

Quattro sono soprattutto gli ostacoli che ci separano da una forma di civiltà che valga qualcosa. La nostra falsa idea di grandezza; la degradazione del senso della giustizia; la nostra idolatria per il denaro; e l’assenza di aspirazione religiosa. […] La nostra idea di grandezza è l’ostacolo più grave e quello di cui siamo meno consapevoli. […] La nostra concezione della grandezza è quella medesima che ha ispirato tutta la vita di Hitler.  

Un elemento che caratterizza sia il presente che la storia dell’uomo è la guerra, accompagnata dalla violenza, dall’odio e dal dominio. Oggi e in passato gli uomini hanno combattuto in nome di una Nazione, di una Patria, di un’Ideologia, di un Dio, della Libertà. Qui ed ora non ci importa analizzare i motivi dietro i quali le guerre sono scoppiate e scoppiano tutt’ora. Quello che vogliamo cogliere è ciò che viene tramandato dalla storia e come questo influenza la nostra realtà, ancora troppo intrisa di violenza. 

Simone Weil è chiara: dalla storia ci portiamo una falsa idea di grandezza, pregna di crudeltà, egoismo, vanità, desiderio di successo e dominio sull’altro. Ciò che noi conosciamo della storia ci viene tramandato attraverso i documenti dei vincitori che, con le loro “vittorie”, annientano i vinti, cancellano tradizioni, culti, persone, idee. Attraverso la loro lettura e il loro studio noi contribuiamo a far risuonare la loro voce, la voce dei “forti”. Ma dove sono le voci dei vinti? Chi le ha mai sentite? Attenzione: non stiamo qui affermando che i documenti storici dei vincitori non vadano letti, anzi. Dobbiamo assolutamente consultarli, farli nostri, studiarli, ma non dobbiamo trovare in essi la grandezza e il genio. L’Impero Romano non è stato un “grande”, dato che per espandersi ha annientato la cultura di altre popolazioni, ha sottomesso e dominato l’altro; Hitler, no, non era un “genio”. So che può sembrare assurdo definire Hitler un genio, ma, purtroppo, da molti viene considerato tale. Hitler facendo la storia, scrive Simone Weil, è riuscito nel suo intento perché era proprio ciò che voleva, lasciare un segno. Gli uomini politici, presenti e passati, sono ossessionati dal voler essere ricordati, dal dominio, dal voler essere il più forte: questo perché ci viene insegnato che “grandi” sono coloro che vanno oltre i limiti, anche a costo della violenza, della forza, della guerra, della morte, della sottomissione. Siamo educati ad un’idea di grandezza che va di pari passo con la violenza e la forza. Forte è colui che domina sull’altro; l’uomo più forte della donna, più grande, addirittura anche fisicamente, deve essere più alto; il bianco deve dominare sul nero perché ci deve essere sempre qualcuno più forte di qualcun altro; gli ebrei sottomessi perché un popolo deve essere il più forte. La storia è permeata e continua ad esserlo da uomini che vogliono essere i “più grandi”, i “più forti”, secondo una falsa idea di grandezza e forza che, per la maggior parte delle volte significa commettere azioni terribili, come guerre e genocidi.  Anche gli scienziati, ossessionati da voler diventare qualcuno, vogliono sentirsi grandi e si spingono al di là del bene e del male, basti pensare alla bomba atomica. Come abbiamo fatto ad arrivare a creare delle armi capaci di annientarci? Era davvero necessario?

Un pensiero sottovalutato dai più è quello di Simone Weil che dice basta. Basta a questo desiderio che va al di là del bene e del male, basta ad un senso di grandezza degradante che non si ferma nemmeno davanti alle violenze più crudeli. Come lo fermiamo? Con l’educazione. L’educazione, scrive la filosofa francese, consiste nel dare origini a moventi, l’educazione deve essere ciò che da energia all’azione, come la benzina. Può la macchina partire senza benzina? O, forse peggio, può la macchina partire con un carburante che, invece di farla accendere e viaggiare bene, la porta all’autodistruzione? No. La stessa cosa vale per l’uomo. Se la nostra educazione ci porta a vedere del genio in uomini che hanno distrutto l’umanità, allora siamo certi che in futuro ci sarà un altro Hitler che vorrà essere un grande anche lui, che non vedrà nella violenza e nell’odio qualcosa di sbagliato, ma che ci vedrà solo un mezzo per fare la storia

Per questo dobbiamo smettere di educare le persone alla violenza, all’idea di una grandezza crudele, legata alla forza, alla guerra, al dominio. Come? Educando alla cura. 

Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del secolo scorso, ha dedicato molte pagine al concetto di “cura”. Dobbiamo avere cura dell’altro, che sia o no un essere vivente. 

Prendersi cura di qualcuno o qualcosa, secondo il filosofo tedesco, vuol dire lasciar essere l’altro, ma non in un senso passivo. Possono confondere i termini prendere e lasciare, perché di solito sono intesi come contrari (anche il detto “prendere o lasciare”). Non dobbiamo intendere qui il “prendere” come un “togliere, portare via”: avere/prendersi cura vuol dire lasciare attivamente essere l’altro, non vuol dire dominare sull’altro, prendere l’essenza dell’altro e cambiarla a proprio piacimento, rubarla, modificarla. Prendersi cura dell’altro non vuol dire tirare fuori dall’altro ciò che noi vogliamo da lui, ma vuol dire lasciarlo essere ciò che egli è, standogli affianco, sostenendolo, lasciandolo libero di esprimere sé stesso, non opprimerlo, non dominarlo. Essere l’uno accanto all’altro, avere cura dell’altro non vuol dire deturparlo, ma avere la premura di lasciarlo fiorire. Un po’ il contrario di quello che noi stiamo facendo con la natura. 

Nel corso dei secoli ci siamo presi la natura, l’abbiamo dominata, soffocata con tutti i tipi di inquinamenti possibili e immaginabili. Non ci siamo presi cura della natura: non l’abbiamo ascoltata, non abbiamo creato un mondo in cui vivere in armonia con essa, ma ci siamo imposti su di essa, l’abbiamo calpestata, non l’abbiamo lasciata essere ciò che è. Idem per quanto riguarda donne e neri: uomini che hanno imposto alla donna la sua identità, senza lasciarla esprimere liberamente; bianchi che hanno colonizzato neri, che hanno soffocato il loro modo di essere, senza dargli nemmeno la possibilità di far emergere la loro cultura, il loro sé. 

Dobbiamo, quindi, educarci a lasciare spazio a chi differisce da noi, a chi per secoli è stato considerato “debole”, a chi non ha voce in capitolo. A scuola i bambini devono essere educati non solo al rispetto per l’ambiente, ma anche a come prendersene cura, lasciando vivere la natura senza deturparla. Lo stesso vale per le persone, c’è bisogno di un sistema educativo che non insegni la “tolleranza” (concetto che prevede la superiorità di un qualcuno che tollera qualcun altro di inferiore), ma piuttosto a come prendersi cura l’uno dell’altro, vale a dire a come rapportarsi all’altro per lasciarlo libero di fiorire, libero di essere sé stesso. 

Se continuiamo ad educare le persone al fatto che nella vita bisogna essere forti e grandi, a qualunque costo, se continuiamo ad educarci ad un senso di forza e grandezza che vede il dominio di qualcuno su qualcun altro, la violenza non avrà mai fine. Dobbiamo educarci ad avere cura dell’altro, a lasciare l’altro libero di essere sé stesso, dove altro non sono solo persone, ma anche piante, animali, cose. Nella storia dobbiamo vedere il “genio” e il “grande” in ciò che lascia libero, non in ciò che soffoca.

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